Pezzo di carta del 18 novembre 2015

Piccola Distribuzione Organizzata del basso Garda – Pezzo di Carta del 18 novembre 2015

Anche oggi vi tedierò con delle riflessioni alla Bauman & dintorni. Alla solita, mi auguro che gli ortaggi tra i quali mi sono adagiato in cassetta, non giungano nelle vostre cucine appassiti o raggrinziti, insomma provati dalla pesante lettura.

Si scopre che il concetto di generazione, inteso come “soggetto collettivo, contraddistinto da una visione del mondo collettiva” si è affermato a seguito della Grande Guerra. Da allora le visioni collettive del mondo sono cambiate molto rapidamente, giustificando l’introduzione della dizione “conflitti intergenerazionali” laddove la visione viene cambiando da una generazione all’altra.

La generazione che ha vissuto ed è sopravvissuta alla Grande Guerra ha subito un trauma mentale e morale forse paragonabile a quello che la civiltà Europea subì a seguito del terremoto, incendio e maremoto che subì la città di Lisbona nel 1755. Dall’evento del diciottesimo secolo l’uomo capì quanto potesse essere devastante la furia della natura verso la razza umana, ma con l’esito della grande guerra si trovò di fronte alla tragica realtà che le atrocità potessero essere anche peggiori sotto alla gestione umana del mondo. Dal primo evento al principiare del secondo, 160 anni di storia, la guerra dell’uomo verso la natura a colpi di progresso ha contato un’enorme quantità di battaglie vinte di generazione in generazione, poi, all’improvviso, il baratro della grande guerra ha fatto rotolare alla vista di tutti la immane crudeltà di cui è capace l’uomo. Un altro secolo è trascorso da allora, e ad ogni generazione si è oscillato tra il prevalere, nella visione del mondo, di due grandi pensieri filosofici individuati da Zygmunt Bauman quali modelli di volta in volta presi a riferimento da ciascun singolo individuo per la ricerca della personale felicità.

In estrema semplificazione l’emerito sociologo polacco, sostiene come nella scelta di vita che conduce alla felicità gli individui umani siano tesi tra due forze contrastanti, una centrifuga, che porta all’occuparsi degli altri, ed una centripeta, che porta ad occuparsi di sé. Sempre secondo Bauman i due filosofi moderni che si possono erigere a portavoce di queste due visioni contrapposte sono Friedrich Nietzsche, il centripeto, e Emmanuel Lévinas, il centrifugo.

Il superuomo di Nietzsche è colui che pensa al solo proprio benessere, stato che gli è riconosciuto in quanto essere superiore per nascita. La felicità per lui è una condizione quasi costante ed è tanto più facile mantenerla quanto più rigetta lontano da sé tutti quegli individui che non si trovano sul suo stesso piano esistenziale. Il pensiero di Lévinas, filosofo francese del ventesimo secolo, si basa sulla “responsabilità dell’altro”, quale struttura essenziale della soggettività. “Io sono in quanto sono per gli altri”.

Nella “civiltà liquido-moderna” di Bauman ciascun individuo si dibatte, chi più chi meno, tra queste due forze, queste due visioni. Certo, il modello del mercato in cui siamo immersi tende a privilegiare la visione dell’uomo che guarda a sé stesso. Per dirla alla Ulrich Beck, sociologo di fama recentemente scomparso, ogni individuo è spinto a cercare soluzioni individuali a problemi creati socialmente e ad applicarle individualmente per risolvere il problema a sé stesso (che gli altri si arrangino!); in questa ottica l’essere solidali è controproducente: la visione di una causa comune è spazzata via dalla causa individuale.

Il consumismo promette libertà individuale a tutti, ma la concede con parsimonia e selettivamente: per questo ci si prodiga in azioni centripete, per raggiungerla o meritarla. Insomma l’epoca in cui viviamo è quella della rinascita di Nietzsche.

Eppure vi sono al mondo una moltitudine di persone che non si sentono dei superuomini e che sprigionando la loro energia centrifuga nel perseguire un obiettivo comune, credono fermamente di intraprendere una via verso la felicità (propria e degli altri).

In chiusura Bauman cita nuovamente Seneca: “dovendo discernere ciò che rende felice la vita, si ha l’occhio confuso”, per poi lasciarci uno lucina di speranza. Sentimento che ravviva nel farci notare come, nonostante il superomismo propugnato dal modello liquido-moderno, anche oggi, a distanza di duemila anni, l’uomo abbia ancora l’occhio confuso in questo discernimento.

L’Arte della vita, titolo del libro qui sinteticamente recensito, sta proprio nell’andare a tentoni, ora focalizzandosi su sé stessi, ora sull’altro, così da avere sempre quel poco di margine di incertezza, di piccola delusione, di mancato appagamento, che ti spingano alla continua ricerca della felicità.

BUON CAMBIAMENTO E TANTI ORTAGGI BUONI PER TUTTI!